Viaggio nell’arte: Piero della Francesca

di Ilaria Pullè

Sansepolcro: un’altra tappa del nostro viaggio nell’arte, i cui spostamenti non prevedono un itinerario prestabilito, al contrario consentono di percorrere la nostra penisola in ogni dove, con l’unico limite, talvolta, di dover rispettare la collocazione di quelle opere, come la Resurrezione, di Piero dellaFrancesca, per loro natura giustamente inamovibili…

Piero della Francesca realizza Resurrezione in un momento particolare della sua vita e percorso artistico, vale a dire  le pieno della propria maturità intellettuale. Non un’opera giovanile o tarda, al contrario latrice di interpretazioni scientemente raggiunte attraverso un percorso di proficui studi e  considerazioni, e a causa di questo decisamente non semplice da interpretare. A tratti fuorviante e corredata di elementi apparentemente singolari, comunque valutabili dopo opportune valutazioni, talvolta rivelanti significato differenti a quanto si sarebbe inizialmente potuto supporre.

Se lo studioso Ronald Lightbown riesce a vedervi un trionfo della vita sulla morte, altro appare al poeta e critico d’arte Yves Bonnefoy, il quale non esita a scorgervi un’aura di profondo sconforto, tesi, quest’ultima, condivisa anche dal filosofo Massino Cacciari.

Dal contesto emerge, indubbiamente, la consueta semplicità dell’artista, volta ad evocare fermezza e solidità, in questo caso caratteristicamente adeguata a mostrare la potente figura del Cristo risorto.

Piero della Francesca, Resurrezione, 1450/1463, affresco, 225×200 cm. – Sansepolcro – Museo Civico. Immagine: web

Saldamente appoggiato all’asta della bandiera, baluardo di risoluta convinzione, il poderoso Cristo si staglia su di un contesto non esattamente rievocante le ordinarie immagini di resurrezione, spesso legate a paesaggi rigogliosi e primaverili, al contrario raffigurante una terra tendenzialmente oscura ed aspra, simbolo di lavoro e fatica.

Dura, sì, ma proprio per questo forte ed adatta a mettere radici, quindi a sottolineare l’inflessibilità del Cristo. Un mostrarsi irremovibile che ne sottolinea la profonda giustizia, oltre ad evidenziarne la fermezza comunicativa, secondo quell’eloquio sobrio più energico che se fosse urlato.

Un significato trasmesso anche attraverso i cromatismi utilizzati, in cui il colore della veste vira verso una tonalità accesa quasi contrastante con il sarcofago romano spoglio e disadorno.

‘Esprimere con sobrietà di eloquio la verità del Logos, corrispondere alla forza del breviloquio evangelico con la chiarezza del disegno, e lo sguardo dritto alla cosa’, nelle parole del professor Cacciari, per un Cristo dominante, in ossequio alle parole di Paolo in una delle lettere agli Efesini, il quale ‘tutte le cose ha posto sotto il suo piede’ (Ef. I, 21-22), il quale reca ancora le tangibili ferite della passione, seppure ormai memoria di quanto già accaduto, di una battaglia vinta. Le stesse ferite visibili nel film The Passion, di Mel Gibson, in cui Gesù risorto mostra i segni della sofferenza occorsa, ma trascorsa.

Eppure non è possibile limitare l’interpretazione al trionfo, poiché vi è un contrasto non ignorabile tra l’espressione del volto ed il linguaggio del corpo: il volto diverso, con le labbra serrate, denota la solitudine di Gesù, il quale ha affrontato da solo la propria passione e ha vinto la morte, ma la cui condizione solitaria perdura anche dopo la resurrezione, in cui i soldati, come gli apostoli nel Getsemani, dormono senza mostrare di accorgersi di tale evento straordinario.

Un’immagine quantomeno singolare, forse atta a rimarcare la scarsa comprensione della luminosità del Cristo da parte di chi gli sarebbe dovuto essere accanto, sia per sostenerlo che per sorvegliarlo, ed in un certo senso insolita: quasi sottintendente non tanto un compimento quanto l’inizio di un nuovo percorso non per scontato agevole…

Riguardo l’analisi dell’opera, consiglio il testo Tre icone, di Massimo Cacciari, che ho consultato per la stesura di questo commento…

 

 

 

 

 

image_pdfVersione stampabile