di Francesca Radaelli
“Ville di delizia”. Altrimenti dette: la villeggiatura di altri tempi.
I tempi sono quelli, lontani ma non troppo, che spaziano indicativamente dalla seconda metà del Cinquecento all’Ottocento.
I luoghi, invece, sono vicinissimi, per chi risiede nell’area di Monza e Brianza. Anzi, sono proprio i ‘nostri’ luoghi. Alcuni di questi, oggi, di delizioso sembrerebbero avere ben poco, attraversati dal traffico delle automobili e disseminati di aree industriali. Eppure fino a poco più di due secoli fa proprio questi luoghi erano tra i più desiderati dai ricchi cittadini milanesi. Considerati dei veri e propri paradisi, immersi nel silenzio e nella natura. Soprattutto lontani dalla frenetica vita della città, ma non troppo distanti. Ideali per la villeggiatura.
Il mito della villa di delizia
Nella seconda metà del XVI secolo, con la pace di Cateau Cambrésis, il Ducato di Milano perse la sua indipendenza e passò sotto il controllo degli spagnoli. Fu allora che i nobili milanesi iniziarono a manifestare disinteresse per la vita politica della città e desiderio di evasione dall’ambiente urbano. Un ambiente che tra l’altro, a causa delle pessime condizioni igieniche, era sempre più soggetto al diffondersi delle epidemie.
In questo periodo, la diffusione del mito della villa di delizia campagnola viene favorita anche dal trattato intitolato ‘La villa’ e scritto da un dotto umanista cinquecentesco, Bartolomeo Taegio. L’opera è un vero e proprio elogio della vita tranquilla lontana dalla città. L’aspirazione a un sereno otium in campagna, peraltro, è ben presente negli autori classici tanto cari agli intellettuali umanisti del tempo: basti pensare alla celebre favola del topo di campagna e del topo di città raccontata per la prima volta dal poeta latino Orazio nel I secolo a.C.
Villa Taverna a Canonica Lambro
A un certo punto dell’opera, Taegio fa un elenco dei signori milanesi a lui contemporanei che hanno deciso di seguire l’esempio degli antichi. Tra questi figura il conte Taverna, proprietario di un villa a Canonica in Brianza: “luogo allegro e giocondo e meraviglioso”, si legge nel trattato, che ricorda l’arrivo del “saggio e gran Taverna nell’aprica Villa della famosa Canonica per la cui vicinanza il Lambro e Monza se ne vanno tanto altieri”. Villa Taverna, ancora oggi monumento di spicco tra le colline del comune di Triuggio, è dunque tra le più antiche ville di delizia di cui si abbia testimonianza nel territorio brianzolo.
Sembra che il caseggiato trasformato in villa dai Taverna fosse anticamente un fortilizio: sorgeva vicino al guado sul Lambro, lungo il percorso che collegava i territori del Ducato di Milano a quelli della Repubblica di Venezia. Forse a un certo punto l’antica fortezza venne trasformata in una casa canonica (da cui il nome dell’attuale frazione di Triuggio). Fatto sta che Francesco Taverna, prima gran cancelliere degli Sforza, e poi consigliere dell’imperatore Carlo V, decide di trasformarla in una dimora degna di un conte quale egli era diventato, dopo aver ottenuto il feudo di Landriano, nel Pavese. La villa con planimetria a U, si sviluppa su due piani, collegati internamente da un grande scalone d’onore. Conserva ancora oggi gli originari camini in pietra del Cinquecento e vanta un giardino all’italiana, che attualmente mantiene il disegno cinquecentesco.
I Taverna e la Monaca di Monza
Nei primi anni del Seicento, la villa di Canonica è uno dei luoghi che fanno da sfondo alla torbida vicenda della Monaca di Monza, ripresa dal Manzoni nei Promessi Sposi. Qui infatti l’amante della monaca Gian Paolo Osio – l’Egidio manzoniano – si rifugia per qualche giorno, dopo aver compiuto alcuni omicidi ed essere fuggito dal carcere di Pavia. Il conte Ludovico Taverna, nipote di Francesco, lo nasconde nella sua residenza di campagna in nome di un’antica amicizia.
Successivamente, dopo l’arresto di suor Virginia De Leyva (suor Gertrude nei Promessi Sposi) sarà lo stesso conte Ludovico a tradire il vecchio amico, in nome, questa volta, dell’opportunità politica. Ludovico Taverna è infatti diventato senatore: un funzionario del re di Spagna non può compromettersi. Anzi, per non compromettere ulteriormente anche il nome dei nobili De Leyva di Monza, si decide di far sparire l’Osio senza troppo clamore. Ludovico finge dunque di offrire un nuovo riparo al fuggitivo, in un’altra residenza di famiglia, la villa Taverna di Milano, in corso Monforte, oggi Palazzo Isimbardi. Qui, attirato in uno scantinato, l’Osio riceve prima l’opportunità di confessare i numerosi peccati a un prete convocato per l’occasione, quindi la bastonata alla nuca che pone fine alla sua vita.
Era il 1608. Chissà cosa sarebbe accaduto, se, invece che nella frenetica Milano, Ludovico Taverna si fosse trovato in villeggiatura nella ‘deliziosa’ campagna brianzola. Forse l’Osio avrebbe avuto un destino diverso…
Fotografie tratte da LombardiaBeniculturali.it