Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco

di Daniela Zanuso

Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco“, è lo spettacolo che venerdì 15 novembre ha aperto la Stagione di Prosa del Teatro Manzoni di Monza

Siamo nel 1889: Van Gogh è ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Manson in Provenza dove gli viene proibito di continuare a dipingere dopo un tentativo di suicidio. E’ da questo episodio che prende spunto il testo toccante di Stefano Massini, che riesce a mettere in evidenza il sottile confine tra pazzia e normalità, tra sogno e realtà.

Van Gogh è rinchiuso nella stanza di un manicomio dove tutto è proibito: leggere, dipingere, persino vivere. Indossa una casacca bianca e tutto intorno a lui è bianco: le pareti, i camici degli infermieri, persino l’unico fiore presente nella stanza. L’assenza di colore diventa incubo e tormento. Lui vorrebbe “cancellare il bianco da quelle pareti“, perchè quel bianco è vuoto, è silenzio, è mancanza, è morte interiore. E lo confonde.

Messo di fronte a se stesso, Van Gogh cerca disperatamente di capire quello che è vero e quello che non lo è e crea nella sua fragile mente i fantasmi che alimentano le sue allucinazioni. Tanto che, consapevole del suo stato, quando viene in visita il fratello Theo gli chiede una prova: “Dimostrami che sei reale, che esisti”.

Intorno a lui gli infermieri del reparto, che lo trattano come un detenuto, e il perfido dottore che lo ha in cura, non fanno altro che alimentare i suoi dubbi e le sue fragilità. Lui vorrebbe solo una tavolozza con colori e pennelli e magari una tenda colorata alla finestra. Perchè è urgente la sua necessità di far rivivere la realtà sulla tela, perchè” i colori entrano nella mente ed escono dalla punta del pennello“.

Unico sincero tentativo di andare in aiuto al paziente è quello del direttore Peyron (un bravissimo Francesco Biscione) che cerca, attraverso l’ipnosi, di far uscire il protagonista dalla sua follia. Ma sarà vero anche lui o è frutto della sua immaginazione?

Un’intensa prova recitativa quella di Alessandro Preziosi che parla con le sole movenze del corpo, che si trascina sul palco con fare ora assente, ora furioso e riesce ad immedesimarsi e a trasmettere allo spettatore la disperazione dell’artista, il suo delirio, la sua solitudine.

Una scenografia suggestiva lentamente svela, sulle pareti, un bassorilievo in bianco, l’ultimo quadro del grande pittore Campo di grano con volo di corvi, (dipinto pochi giorni prima di morire) e contribuisce fortemente a dar corpo alle suggestioni create da un testo efficace e raffinato .

Solo la scena finale in cui il palcoscenico viene inondato di giallo, il colore preferito dall’artista e l’unico che può rappresentare la luce, ci regala la speranza di un equilibrio ritrovato.

 

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