di Francesca Radaelli
Personaggio tra i più amati in terra britannica, Sir Winston Leonard Spencer Churchill muore a Londra il 24 gennaio 1965. Sono passati cinquant’anni dalla scomparsa di un uomo che è stato uno dei protagonisti assoluti del Novecento, della Seconda guerra mondiale e del dopoguerra. La sua fotografia, con l’inconfondibile sigaro in bocca, campeggia su tutti i libri di storia. Come scrittore, forse, è meno conosciuto,ma i suoi scritti storici, in particolare l’opera dedicata a The Second World War, gli valsero, nel 1953 niente di meno che il Premio Nobel per la Letteratura.
In effetti il futuro primo ministro britannico aveva cominciato come giornalista, corrispondente di guerra al tempo della seconda guerra boera in Sudafrica, tra il 1899 e il 1902. Entra poi in politica, nel 1900, eletto parlamentare nelle file del partito conservatore.
Iniziato l’anno successivo alla Massoneria, Churchill si sposta di lì a poco nel partito liberale, diviene ministro del Commercio e dell’Interno, attuando riforme sociali che lo rendono decisamente popolare, e poi Primo Lord dell’Ammiragliato, rafforzando la flotta militare. Dopo il disastro della spedizione dei Dardanelli durante la prima guerra mondiale, Churchill è costretto però a lasciare questo ruolo.
Nel dopoguerra critica aspramente la politica estera britannica, troppo conciliante nei riguardi di Hitler e di Mussolini. Nel 1939 Chamberlain gli affida l’Ammiragliato e Churchill organizza il blocco navale della Germania cercando al tempo stesso un ravvicinamento con l’Urss. Il 10 maggio 1940 viene nominato capo di un governo di coalizione, la guida della Gran Bretagna in guerra è affidata a lui.
“Non ho altro da offrire che sangue, fatica, lacrime e sudore”: la celebre frase viene pronunciata il 13 maggio e, diffusa attraverso la radio nelle case di tutti gli inglesi, ha il potere di rafforzare l’unità nazionale in un momento storico tanto critico.
Al termine della guerra, durante le conferenze di Yalta e Potsdam, Churchill si mostrerà decisamente diffidente nei confronti di Stalin, più di quanto non lo sia il presidente degli Stati Uniti Roosevelt.
Sua è anche la definizione di ‘cortina di ferro’ per indicare la linea di confine tra i due blocchi americano e sovietico durante la Guerra Fredda. Una situazione già prospettata dallo statista britannico nel 1946 quando disse in un celebre discorso:
“È mio dovere prospettarvi determinate realtà dell’attuale situazione in Europa. Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa Centrale e Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna,Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni attorno a esse, giacciono in quella che devo chiamare sfera Sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell’altro, non solo all’influenza Sovietica ma anche a una altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo da Mosca”.
Nel 1945, nonostante la vittoria in guerra e il consenso di cui gode presso la popolazione, Churchill perde, a sorpresa, le elezioni politiche, vinte dai laburisti. Dovrà aspettare il 1951 per ricevere nuovamente, all’età di 77 anni, l’incarico di formare un governo. Si impegna quindi particolarmente in politica estera per favorire la distensione tra Usa e Urss, sostenendo la necessità che l’occidente mantenga un arsenale nucleare in funzione deterrente verso l’Unione Sovietica.
Nel 1955 si ritira a vita privata. Dieci anni dopo muore. Al suo funerale alla cattedrale di Saint Paul a Londra partecipano circa 300.000 persone. E gli inglesi non lo hanno mai dimenticato.